Ottobre 1997, Sala Conti, Bresso
Voci lontane, sempre presenti. Voci di maestri che hanno lasciato un’impronta nella storia dell’umanità.
Richiami a cui nessun artista, oggi, può tentare di sottrarsi. Neppure volendolo. E Roberto Mauri lo sa bene, da sempre. Un filo rosso lega l’impenetrabile sguardo dei personaggi di Piero della Francesca alle arcaiche bagnanti di Picasso, le possenti e vitali figure di Michelangelo alle più provocatorie esperienze delle avanguardie del nostro secolo.
È cosa nota, certo. Forse addirittura scontata. Ma, proprio per questo, troppo spesso dimenticata. Con umiltà, con devozione, con passione autentica, Mauri è tornato al cospetto dei più grandi maestri di tutti i tempi, alla ricerca di un dialogo, di un confronto perfino. Del sommo e schivo Piero analizza il segno, del Buonarroti sonda l’impeto, del Canova studia la composizione, di Picasso la forma. Mai sostando in superficie, mai accontentandosi dell’apparente. Scava, Mauri, tenacemente, caparbiamente. Di ogni capolavoro del passato, prossimo e remoto, egli vuole spremerne l’essenza, suggere il nettare divino. E per fare questo scompone, seziona, verifica, rielabora. Non con l’asettica precisione d’uno scienziato positivista, ma con il travolgente affetto di un vero artista, con l’afflato romantico d’un poeta.
È così che nascono queste recentissime opere di Roberto Mauri, ponte ardito, ma solidissimo, tra Sedicesimo e Ventesimo secolo, tra Rinascimento e Terzo millennio. Sotto l’abile mano di Mauri i ritratti di Battista Sforza e di Federico di Montefeltro evadono dalla raffinata e turbolenta corte d’Urbino per diventare immagini senza tempo dell’umanità intera, i giudicati della Cappella Sistina abbandonano i limiti loro assegnati per vagare incontenibili in uno spazio senza confini, le odalische di Ingres assistono impassibili a rivoluzioni epocali. Già, perché Mauri, si diceva, è umile, ma non sottomesso.
Egli non abdica alla propria creatività, non rinuncia al proprio spirito. Com’è giusto e come dev’essere. Perché solo così il dialogo tra passato e presente, anche e soprattutto nel mondo dell’arte, può dar frutto. Sfondi compatti e omogenei, esplosioni improvvise di colore, lame di luce che squarciano tenebre lontane, sagome emblematiche ed eloquenti, sorprendenti giochi ad incastro… Sono questi gli scenari in cui Mauri fa rivivere i protagonisti di cinque secoli di pittura, calandoli in un mondo astratto e personalissimo, eppure coinvolgente e familiare, operando più come un novello demiurgo che come un abile burattinaio: perché Roberto mai oserebbe trattare il Duca di Piero o l’Arlecchino di Picasso come un qualcosa di inanimato. I nuovi dipinti di Mauri appaiono dunque come il risultato di un’eruzione interiore, invisibile e silenziosa, ma non per questo meno impressionante e grandiosa.
Opere scaturite con forza da immagini quasi ossessive,
ma mai inquietanti, mai spigolose. E non perché l’autore voglia apparire a tutti i costi rassicurante, ma perché le sue tele riflettono quel consapevole, maturo ottimismo di fondo di fronte alla vita che è una delle caratteristiche più amabili dell’uomo Roberto Mauri.
Luca Frigerio